Il MoMaLiFLIM è il Movimento Maisivedrista per la Libera Fruizione della Letteratura Interpolativa e Metastatica creato, sul finire degli anni ’80, da Salvatore Barbara, uno studente d’ingegneria che ne fu fondatore, unico rappresentante, nonché solo esegeta e singolo fruitore.
Nato come forma d’arte che sussumeva in sé tutto ciò che non s’era mai visto né si sarebbe veduto per la ripulsa da parte del mercato, il Maisivedrismo si è posto ben presto l’obiettivo di rifondare l’epopea dell’aedo senza fini di lucro: il cantore che tutto canta fuorché gli estremi del proprio conto corrente, attraverso testi liberi di carambolare tra le caselle di posta elettronica e diffondersi con impeto epidemico, forti di un labile diritto d’autore che insiste, per libera determinazione delle parti in causa e di quelle in effetto, su un formato cartaceo pressappoco inesistente. I testi ascrivibili a esso movimento rinnegano qualsiasi pretesa d’esaustività, per aderire a un modello di letteratura interpolativa che non si perita di indicare soltanto i passaggi obbligati della storia lasciando al lettore il compito di trovare la funzione narrativa, ossia la finzione, che li intercetta tutti: non viene narrata una storia in senso stretto, ma una serie di strettoie a doppio senso da cui possono transitare racconti affatto diversi tra di loro, capaci perfino di escludersi a vicenda. Prova ne sia che il Planeturio e i Satelliti hanno in comune frasi, scene, talvolta intere partiture, senza che sia possibile discernere quale sia la copia e quale l’originale. La metastatica inerisce alla morbosità del processo di scrittura, che impedisce alle narrazioni di compiersi e svanire: ognuna di esse tende, a dispetto di se stessa, a proliferare in quelle che cercheranno di fagocitarla. Il Big-Bang, il Planeturio, i Satelliti, le Comete, gli Asteroidi, i Meteoriti e tutti i loro artefatti artefici attruppati sotto le insegne dell’Officina Totòre sono la dimostrazione che il MoMaLiFLIM è ancora vivo, che c’è ancora qualcuno disposto a crederci: a tener viva la fiamma di questo braciere alimentato a dita.
L’Officina Totòre è il serraglio-manifattura ove l’ingegnere segrega l’autore di turno affinché attenda, in forzata autonomia, alla porzione di Galassia che gli pertiene. Dove esso reclusorio si situi non è dato sapere; chi ne sostenga il canone è un enigma. Nulla si sa sul destino dei grafomani dopo l’ultimazione dell’ufficio: una vecchia madre che ha formulato la domanda è stata visitata da un mamba.
Si vocifera siano stati coartati a migrare nel Periscopio Strabico, un testo la cui composizione è avvolta da un fitto mistero e nel mistero forse ristarà per ipoteche di carattere anagrafico.